Max Ernst: il dadaista, il surrealista, il romantico, il patafisico, l’umanista interessato al Rinascimento. È stato uno dei più grandi artisti del Novecento, uno dei più citati e discussi, elegante e dalla vita avventurosa come un romanzo, e tuttavia rimane poco conosciuto al grande pubblico. Le ragioni sono molte. Innanzitutto, la sua opera sfugge a qualsiasi definizione tangibile, è estremamente varia e multiforme, impone di rinunciare ad approcci frettolosi, invitandoci allo studio e al confronto con altre discipline – ma è sempre anche gioco, curiosità, meraviglia.
In secondo luogo, Max Ernst non si è mai troppo autopromosso in vita: ha perlopiù condotto scelte libere e autonome, su tutti i fronti. Un aneddoto lo vuole per esempio alla Biennale di Venezia, nel 1954, in occasione della cerimonia di consegna del primo premio alla pittura che l’artista aveva vinto un po’ inaspettatamente. Bloccato all’ingresso dalle resistenze di un usciere che non l’aveva riconosciuto, insieme con la moglie Dorothea Tanning, l’artista non insistette oltremodo, girò i tacchi e se ne andò per chiese, alla ricerca dei Tintoretto che desiderava ammirare fin dal suo arrivo in città.
La critica tedesca ha ampliato negli ultimi decenni le ricerche intorno a Max Ernst e si è riappropriata delle sue radici germaniche, come del resto fece lui stesso; la lettura del suo universo viene estesa in nuove direzioni e rinnovata. Max Ernst è un artista molto colto: i suoi interessi non si limitano alle arti visuali, ma si estendono anche alla poesia, alla letteratura, alla filosofia, all’alchimia, alle scienze. La storia della cultura, il mondo interiore composto di ricordi, sogni e visioni, insieme con il grande libro della natura, rimangono per tutta la vita dell’artista le fonti privilegiate per rappresentare il “Gran Teatro del Mondo”.
Esso si compone di foreste, uccelli, animali, corpi femminili e corpi celesti che si ibridano in maniera inattesa con l’artificio, con il mito, con i temi classici e sacri della storia dell’arte del Rinascimento italiano e tedesco, del Romanticismo, con gli strumenti della scienza e della tecnologia, formando costellazioni via via sempre diverse. In un continuo oscillare tra mimetismi e metamorfosi, tra animazione dell’inanimato e pietrificazione dell’animato, il filosofo-pittore apporta sino alla fine un messaggio ideologico fondato su una nuova arte del vedere, rivelandosi degno erede di quella lunga tradizione tardo-rinascimentale propria delle Wunderkammer.
La vita e l’opera di Max Ernst rappresentano un viaggio straordinario attraverso il Novecento e offrono geniali modalità per rendere poesia ciò che è banale, per guardare con coraggio al buio come alla luce, per estendere lo sguardo fino ai limiti estremi del visibile – ieri come oggi.