Anish Kapoor: il silenzio, l’energia, il pieno e il vuoto, il buio e la luce.

“Quel che rimane particolarmente impresso nella memoria di chi ha visto le prime mostre di Anish Kapoor, agli inizi degli anni ottanta, è il silenzio che quelle piccole sculture ricoperte di pigmenti gialli, rossi, neri o blu riuscivano trasmettere allo spazio espositivo […]. Più semplicemente riteneva che ci fossero delle forme arcaiche che, legate tanto alla dimensione spirituale quanto a quella corporea, consentono all’individuo di specchiarsi in esse e mettere in dubbio o rafforzare le proprie consapevolezze. In altre parole la sua scultura era concepita come un catalizzatore di energia […] “ – Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni, curatori della mostra

I temi della ricerca artistica di Anish Kapoor, che è anche e in primo luogo ricerca filosofica, sono centrati sull’uomo e sulla consapevolezza di sé, sulla mente e l’esperienza delle cose che la circondano, sull’universalità di tempo e spazio, dalle prime opere fino alle più recenti e monumentali installazioni nei musei e negli spazi pubblici.

I concetti di vuoto e buio, di “non spazio”, tipici di alcune installazioni dell’artista indiano e in particolare della più recente Dirty Corner, suscitano in chi ne fa esperienza reazioni che avvicinano l’interlocutore alla sua dimensione interiore. Anche la consapevolezza del mondo esterno e le dimensioni spazio-temporali sono al centro della sua ricerca: attraverso le sue installazioni Kapoor indaga lo spazio e il tempo, il dentro e il fuori, scegliendo sempre più spesso di realizzare opere di grandi dimensioni, esplorabili all’interno, percorribili ed esperibili.
“Già quand’era ancora studente Kapoor pensava all’essenzialità delle forme archetipiche e alla fenomenologia dello spazio analizzata in rapporto al corpo umano come vie privilegiate per acquisire nuove consapevolezze” , sostengono i due curatori . “Da allora, Kapoor si è mosso all’interno di una concezione metafisica che si traduce nella capacità della scultura di diventare tutt’uno con lo spazio e generare silenzio attorno a essa.”

La mente capace di concepire anche ciò di cui non ha esperienza e la percezione del mondo circostante sono i nodi centrali della produzione artistica di Anish Kapoor. L’installazione Dirty Corner ad esempio, appositamente realizzata per la Fabbrica del Vapore di Milano (2011), è concepita in modo che non sia possibile abbracciarla con lo sguardo nella sua totalità. L’unico modo per farne esperienza è procedere nella semioscurità, poi nel buio più profondo, poco luminosa proprio in virtù della sua grandezza: un kilowatt di luce può essere accecante all’interno di uno spazio piccolo, ma lasciare in penombra o addirittura al buio uno spazio molto grande. Infine la terra, che ricopre lentamente la parte centrale di Dirty Corner e diventa tutt’uno con essa, evidenzia sul piano metaforico una concezione unitaria del mondo.

Da Anish Kapoor alla filosofia buddhista

Prendendo spunto da queste considerazioni è nata l’idea di cercare un confronto tra le opere di Kapoor e alcune tematiche della filosofia buddhista particolarmente pregnanti e vicini al significato dei lavori dell’artista indiano, che negli anni della formazione e in quelli successivi ha studiato il Buddhismo e praticato la meditazione.

Come le opere di Kapoor, infatti, anche il Buddhismo è un percorso esperienziale. Come si concilia una tradizione millenaria con le conoscenze scientifiche, le idee, lo stile di vita delle nostre società contemporanee e che influenza può avere sull’espressione artistica?

Per discutere di queste e altre riflessioni MADEINART propone di organizzare, all’interno dei workshop previsti durante la mostra di Anish Kapoor, una conferenza aperta al pubblico dal titolo “Forma e Spazio inseparabili, l’esperienza della natura della mente”, il 17 ottobre 2011 alla Fabbrica del Vapore, proprio intorno all’opera Dirty Corner.

A confrontarsi con l’opera di Kapoor sarà il Lama Ole Nydahl, che da oltre trent’anni è all’avanguardia nella diffusione degli insegnamenti buddhisti in uno stile non esotico, moderno e verificabile per le critiche e pragmatiche menti occidentali.

Primo studente occidentale a diventare discepolo del XVI Karmapa, il Lama più importante dell’antica scuola buddhista Karma Kagyu, Lama Ole Nydahl ha saputo trasmettere l’essenza degli insegnamenti buddisti aldilà degli elementi rituali e culturali con cui sono stati preservati in Tibet per dodici secoli, pur senza trasformarne il patrimonio filosofico.
Proprio come i lavori dell’artista indiano mettono in discussione la percezione dell’individuo, così gli insegnamenti e soprattutto le pratiche meditative offrono strumenti precisi per analizzare ed espandere la propria percezione nella vita di ogni giorno, in un processo conoscitivo della propria mente che culmina con l’esperienza diretta della natura delle cose: questo obiettivo è definito “stato di illuminazione”. L’incontro, articolato in due temi principali, cercherà di rendere meno ermetici e distanti i concetti base di questo approccio conoscitivo che difficilmente può essere catalogato da etichette e categorie psicologiche, religiose o spirituali, ma così vicino per tanti aspetti alle tematiche filosfico-concettuali dell’arte di Kapoor.

1. Tema: la mente è il punto di partenza e il fine

L’essenza del Buddhismo e di ogni suo elemento filosofico, meditativo o artistico punta direttamente all’investigazione della natura e del funzionamento del mondo fenomenico, sia a livello interiore che esteriore.
Il centro di questo processo investigativo è la mente intesa come la consapevolezza che in ogni istante sviluppa la propria capacità percettiva per mezzo dell’apparato sensoriale e delle strutture concettuali presenti nel magazzino esperienziale a cui accediamo sia come individui, sia come collettività.
Comprendere la natura e il funzionamento della mente permette di essere in assonanza con la realtà circostante eliminando gli attriti e l’insoddisfazione derivante dalla mancata comprensione o dall’inefficace tentativo di alterare il sistema di cui l’individuo fa parte.
L’investigazione buddhista giunge alla realizzazione che la natura della mente non può essere vincolata da nessuna definizione limitante, in quanto in essenza essa è puro potenziale consapevole.
Ogni tentativo di individuare una entità singola, duratura e separata è destinata a mostrare solo una approssimazione insoddisfacente di una ben più vasta realtà. Se invece si vuole accedere ad una comprensione completa e pervasiva occorre immergere la propria esperienza scavalcando i limiti intellettuali e psicologici con cui l’individuo costruisce la propria corazza esistenziale, nella illusoria tendenza a trovare rifugio verso l’impermanenza e la complessità circostante.

2. Tema: la forma è spazio, lo spazio è forma

Lo spazio e la forma non sono quindi componenti in conflitto ma espressioni della stessa totalità. Questa visione di uno spazio pregno di potenziale che non necessità di alcuna entità esterna e superiore per perpetuare il proprio processo creativo è presente in Occidente sia dai tempi di Eraclito ed è oggi confermata dai moderni santuari della scienza moderna.
I principi e i noti paradossi della meccanica quantistica sfidano la visione dualistica con cui normalmente il mondo viene meccanicamente percepito e risultano particolarmente stimolanti i possibili parallelismi con le intuizioni svolte da millenni nel laboratorio della mente attraverso metodi analitici e investigativi.
L’interpretazione di Copenhagen, il principio di “località” di Alain Aspect, il paradosso del gatto di Schrödinger sono solo alcuni esempi di quanto la “forma” della realtà appaia meno solida e vincolante nel momento in cui racchiudiamo nello stesso “spazio” cosciente l’osservatore e l’oggetto della sua investigazione.
Oggi come non mai, acceleratori di particelle e analisi filosofica possono quindi essere usati in accordo per completare ciò che è sempre stato l’obbiettivo principale di ogni via di conoscenza: una comprensione diretta e non illusoria del mondo fenomenico in grado di soddisfare la curiosità innata dell’essere umano e il suo primordiale anelito verso la felicità esistenziale.

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